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Vittime Amianto alla Montedison di Mantova: assoluzione in Cassazione

Con sentenza n. 32860/2021 della Terza Sezione Penale la Corte di Cassazione ha in gran parte rigettato i ricorsi alla sentenza d’appello di assoluzione degli imputati nel processo per le vittime da malattie da amianto fra gli ex lavoratori della Montedison di Mantova.

Gli imputati erano chiamati in giudizio per l’omicidio colposo di sei lavoratori, cinque dei quali deceduti per mesotelioma, uno per tumore polmonare.

Per uno solo dei casi, tuttavia ormai prescritto, la Cassazione avrebbe ribaltato la sentenza penale in merito all’accertamento delle responsabilità di due degli imputati che avevano rivestito posizioni di garanzia all’interno dell’azienda nel periodo di esposizione dei lavoratori.

La sentenza di assoluzione era stata emessa il 20 gennaio del 2020 dopo un precedente rinvio della Cassazione della sentenza di assoluzione alla medesima corte per una più approfondita

[…] disamina del «tema del riconoscimento da parte della comunità scientifica della tesi del c.d. effetto acceleratore e della identificabilità dei termini temporali delle diverse fasi del processo oncogeno, in specie quello che va dall’inizio dell’esposizione al completamento del processo medesimo» e […] la nuova disamina del «tema dell’incidenza causale del tabagismo del lavoratore».

La corte, in merito a tali punti, non aveva poi rilevato alcun nesso causale fra la condotta degli imputati e le malattie insorte nei lavoratori.

Il ricorso avverso alla sentenza di assoluzione della Corte d’Appello di Brescia nel processo sulle vittime amianto alla Montedison di Mantova

Il Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Brescia e la parte civile Medicina Democratica Movimento di Lotta per la Salute hanno presentato ricorso contro la sentenza d’assoluzione emessa dalla Corte d’Appello di Brescia all’inizio del 2020. Le motivazioni, in sintesi:

  • Esisterebbe una legge universale circa il fatto che l’accelerazione del tempo di comparsa clinica della malattia sia intrinsecamente connesso all’aumento dell’incidenza e, dunque, del periodo di esposizione al rischio. Per i ricorrenti, nonostante tale legge sia largamente accettata dalla comunità scientifica, sarebbe stata disattesa dalla Corte che avrebbe dato preferenza a studi contrari meno documentati ed attendibili […], così incorrendo nel vizio di mancata gerarchizzazione delle fonti.

    Studi epidemiologici di coorte sugli ex esposti avrebbero inoltre dimostrato che in assenza di ulteriori esposizioni, la frequenza di nuovi casi rallenti la propria corsa e declini progressivamente, ciò che è riconducibile al fenomeno biologico della clearance – vale a dire dell’eliminazione delle fibre di asbesto da parte del polmone – che la sentenza impugnata aveva illogicamente svalutato sull’improprio rilievo che esso non avrebbe avuto dimostrazione anche per la pleura.

    Ciò avrebbe avvalorato dunque la tesi dell’esistenza di una legge universale verificabile piuttosto che di una legge probabilistica, come individuata dalla Corte d’Appello quale base per emettere la sentenza assolutoria.

  • Ci sarebbe stato difetto di omessa motivazione in merito alla richiesta avanzata dai consulenti del pubblico ministero,  di applicazione dei parametri matematici dello studio di Price e Ware per la determinazione dell’incidenza dei singoli periodi nei quali ciascun imputato aveva rivestito la posizione di garanzia. Tali parametri avrebbero infatti consentito di stabilire la percentuale di componente causale a carico di ciascun imputato quanto al contributo delle esposizioni, rispetto a ciascuno periodo di garanzia, nella riduzione della latenza e del tempo di comparsa della malattia nei lavoratori.
  • La mancanza di motivazione sulla attendibilità/indipendenza degli esperti che hanno veicolato il sapere scientifico nel processo, in quanto la Corte d’Appello avrebbe nominato due consulenti vicini alle posizioni “negazioniste” sull’effetto acceleratore sostenute dalla difesa. Inoltre gli stessi non avrebbero avuto sufficiente esperienza in procedimenti giudiziari aventi ad oggetto malattie asbesto-correlate.
  • Si lamentano illogicità e carenza della motivazione in ordine all’impossibilità di escludere che il tabagismo [di uno dei lavoratori deceduti] sia stato un fattore causale esclusivo dell’insorgenza del carcinoma polmonare. La sentenza della Corte d’Appello aveva infatti stabilito che a causare la neoplasia era verosimilmente stato il tabagismo del dipendente e non l’esposizione ad amianto, pur accertata, sul luogo di lavoro.

Il giudizio della Cassazione sulle motivazioni del ricorso

La Cassazione, ripercorrendo la sentenza del giudice del rinvio, ha ancora una volta affrontato le questioni sollevate nei ricorsi ritenendone in gran parte logiche le argomentazioni:

  • Per la Cassazione, come correttamente argomentato e dimostrato dal giudice del rinvio, la cosiddetta teoria dell’effetto acceleratore non può essere considerata una legge universale e quindi “matematica”. Da ciò consegue che non possa che trattarsi di una legge probabilistica che va dunque verificata nei fatti oggetto d’esame, poiché

    […] il solo serio dubbio, in seno alla comunità scientifica, attinente un meccanismo causale rispetto all’evento è motivo più che sufficiente per assolvere l’imputato. Viceversa, poiché la condanna richiede che’ la colpevolezza dell’imputato sia provata “al di là di ogni ragionevole dubbio” il ragionamento sulla prova deve trovare il proprio aggancio e la propria motivazione in un sapere scientifico largamente accreditato tra gli studiosi.

    La Cassazione infatti, nella sentenza, ritraccia il percorso argomentativo seguito dal giudice del rinvio, ritenendolo sostanzialmente logico. Quest’ultimo infatti, analizzato lo stato della letteratura scientifica in merito al consenso sulla teoria dell’effetto acceleratore, arriva a stabilire come allo stato delle conoscenze, non possa ritenersi in alcun modo risolta in seno alla comunità scientifica la valenza da attribuire alla teoria dell’effetto acceleratore quale regola universale applicabile al nesso di causa tra esposizione ad amianto e mesotelioma maligno. A sostegno di ciò il giudice porta alcune evidenze: 1) le conclusioni dello studio di Berry (2007) sul cancro al polmone, dove si sostiene la validità della legge dell’effetto acceleratore, non possono essere applicate al mesotelioma al di là di ogni ragionevole dubbio. 2) La diversità di posizione della comunità scientifica sulla teoria nel Quaderno del Ministero della Salute n. 15 (uno degli studi più importanti tenuti in considerazione nell’emettere la sentenza), fra la prima versione (2012), favorevole alla teoria dell’effetto acceleratore, e la seconda (2013) che invece non raggiunse il consenso di tutti i partecipanti. 3) La sostanziale coesistenza sull’argomento di studi, di pari valore, a supporto di una tesi e dell’altra.

  • Non può trovare applicazione il metodo di Price e Ware quanto alla quantificazione della colpa in base alla durata delle posizioni di garanzia degli imputati relativamente al periodo di esposizione dei lavoratori poiché trattasi di un sistema di ripartizione del grado di incidenza della responsabilità nei diversi periodi di esposizione professionale che presuppone come già accertata l’eziologia di tali esposizioni rispetto all’evento letale, fatto non dimostrato poiché la teoria dell’effetto acceleratore non è appunto una legge universale ma probabilistica, da verificare nel caso concreto.
  • per quanto riguarda il ricorso sulla supposta inattendibilità e parzialità degli esperti chiamati dal pubblico ministero le critiche che la parte civile ha svolto sul punto sono generiche e non soddisfano il principio di autosufficienza del ricorso, in quanto non vi si sosteneva chiaramente che lo studio preso a riferimento (il cosiddetto position paper) negasse la teoria dell’effetto acceleratore ma, genericamente, che fosse troppo vicino alle tesi negazioniste. Inoltre, già la sentenza impugnata, aveva rilevato che il documento non sosteneva affatto la tesi negazionista dell’effetto acceleratore ma si limitava a dar conto delle diverse ed opposte posizioni sull’argomento. Quanto all’attendibilità dei periti inoltre, la Cassazione sottolinea come la valutazione positiva del giudice del rinvio sia da considerarsi una valutazione di merito – non illogicamente argomentata – [e che] non presta il fianco a censure nella presente sede di legittimità.

La teoria dell’effetto acceleratore nei casi di mesotelioma: una legge probabilistica e non universale

La sentenza della Cassazione nel processo per le vittime amianto alla Montedison di Mantova si concentra in particolare sulla disamina della teoria dell’effetto acceleratore delle esposizioni ad amianto successive alla prima che abbia causato l’induzione della malattia al fine di identificare le responsabilità degli imputati nel processo.

La teoria dell’effetto acceleratore non può ritenersi, alla luce del sapere scientifico attuale, regola universale per affermare che, nel mesotelioma maligno, ogni esposizione ad amianto determini una accelerazione/anticipazione dell’evento, [dunque] la stessa va interpretata come legge puramente statistica o probabilistica.

Nell’ambito del processo sulle responsabilità penali degli imputati, l’esistenza di una legge probabilistica comporta dunque la necessità di verificare se nei singoli casi si sia effettivamente stata una abbreviazione del periodo di latenza della patologia causata dalle esposizioni successive dei lavoratori nel periodo di pertinenza e responsabilità degli imputati in carico della sicurezza.

La Cassazione ripercorre dunque il percorso argomentativo della sentenza del giudice del rinvio, rilevando come per gli otto ex lavoratori deceduti per mesotelioma pleurico (due dei reati poi prescritti):

  • l’età di inizio dell’esposizione alla Montedison era in media per tutti avanzata (30 anni);
  • la durata del lavoro piuttosto lunga (22 anni);
  • l’età della diagnosi della malattia in linea con la media nazionale (70 anni);
  • la latenza convenzionale nei valori attesi (40 anni);
  • il tempo intercorso fra la fine dell’esposizione e la malattia relativamente breve (13 anni).

E, su questa base, conclude che i dati a disposizione non consentono di ritenere riscontrabile la progressione della malattia in relazione ai singoli periodi di esposizione né una abbreviazione della latenza e/o accelerazione della comparsa della malattia.

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Tuttavia, per uno degli otto casi, seguendo appunto l’argomentazione della Corte d’Appello quanto alla natura probabilistica della teoria dell’effetto acceleratore, la Cassazione nota come in questo caso la decisione risulti illogica. Il lavoratore infatti:

  • dall’età di 14 anni aveva lavorato per 15 anni quale marmista, con una esposizione ad amianto ritenuta poco probabile;
  • dal 1973 aveva lavorato in Montedison, dove era rimasto per 6 anni e 10 mesi, continuativamente esposto a fibre di amianto crisotilo;
  • aveva dunque ripreso il lavoro come marmista, con una esposizione ritenuta possibile ad amianto (senza motivare, a detta della Cassazione, rispetto al primo periodo nel quale aveva svolto lo stesso lavoro);
  • il mesotelioma pleurico lo aveva colpito nel 1993, a 49 anni. L’uomo era deceduto a causa della malattia dieci anni dopo, all’età di 59 anni.

Secondo la Cassazione il caso di questo lavoratore si distacca nettamente, e sotto quasi tutti i parametri d’indagine ritenuti rilevanti, dalla situazione degli altri lavoratori deceduti per mesotelioma pleurico.

In questo caso infatti, a fronte di una esposizione relativamente breve, la malattia era insorta ad un’età ben al di sotto della media nazionale (70 anni); lo stesso si era verificato per la latenza media (che si attesta sui 40 anni); mentre il tempo trascorso fra la fine dell’esposizione e la manifestazione della malattia era assolutamente nella media (13 anni).

L’inizio dell’esposizione in Montedison per tutti i lavoratori deceduti è avvenuto in un periodo in cui nessuno degli attuali imputati rivestiva ruoli di responsabilità amministrativa o tecnica in Montedison stabilimento di Mantova ed è ben precedente rispetto all’assunzione da parte del primo di questi della rispettiva posizione di garanzia: mentre nel caso degli altri sette lavoratori tale periodo va dagli 8 ai 16 anni e l’affermazione pertanto si giustifica, ciò non vale per [questo lavoratore], posto che la stessa sentenza riconosce come nel suo caso uno degli imputati assunse il ruolo di garante dopo neanche tre anni dall’assunzione in Montedison […].

A detta della Cassazione dunque, per due degli imputati che occuparono le posizioni rispettivamente di direttore dello stabilimento dal 1976 al 1980 e di amministratore delegato dal 1977 al 1981 la sentenza impugnata deve […] essere annullata per manifesta illogicità.

Una legge di copertura statistica come quella nella specie ravvisata dalla sentenza impugnata [la teoria dell’effetto acceleratore] impone al giudice di merito un’attenta valutazione dei singoli casi per verificare, come già la sentenza rescindente aveva indicato, se e quali tra gli stessi possano essere spiegati alla luce di essa [… che], per quanto detto, integra gli estremi di un grave indizio a sostegno della sussistenza del nesso causale.

In particolare, secondo la Cassazione, se il reato non fosse ormai prescritto, andrebbe valutato se il mesotelioma del lavoratore sia insorto nei 2 anni e 7 mesi alle dipendenze della Montedison e prima della posizione di responsabilità assunta degli imputati, oppure anche se, come razionalmente verosimile, nell’abbreviazione del tempo di latenza della malattia abbiano influito le esposizione avvenute anche nel periodo successivo in cui i due imputati furono rispettivamente direttore di stabilimento ed amministratore delegato.

Il tabagismo: possibile concausa o causa alternativa nell’eziologia del carcinoma polmonare asbesto-correlato

Nell’affrontare il ricorso in ordine all’impossibilità di escludere che il tabagismo [di uno dei lavoratori deceduti] sia stato un fattore causale esclusivo dell’insorgenza del carcinoma polmonare la Cassazione sottolinea come la sentenza impugnata, in primo luogo, evidenzi che in assenza di una legge universale e matematica che stabilisca l’eziologia della patologia, si debba ricorrere alla disamina del caso concreto alla luce delle evidenze scientifiche ‘probabilistiche’.

[…] la letteratura scientifica in materia […] ha in primo luogo attestato che l’effetto di interazione tra i due fattori suscettibili di determinare il tumore polmonare possa, per l’amianto, essere maggiore (effetto moltiplicativo) nel caso di elevata esposizione all’inalazione delle fibre, e minore (effetto solo additivo) per le basse esposizioni ad amianto. In ogni caso – si è specificato – il rischio relativo rispetto all’insorgenza della malattia è maggiore per tabacco piuttosto che per l’amianto e non è ad oggi possibile dire, per un soggetto esposto ad entrambi i rischi che sviluppi un cancro polmonare, a quale dei due fattori sia attribuibile la patologia insorta. Occorre peraltro tenere conto […] che per gli ex fumatori ed ex esposti all’amianto il rischio di cancro polmonare cala lentamente nel tempo e dipende anche dell’età di cessazione; in ogni caso, per entrambi i fattori, nei primi 5-10 anni dalla cessazione dell’esposizione, il rischio è molto vicino, se non eguale, a quello di soggetti in cui l’esposizione continui.

Per quanto riguarda il caso del lavoratore deceduto di tumore polmonare:

  • si era ammalato all’età di 58 anni;
  • aveva avuto un’esposizione professionale all’amianto non elevata (21fibre/ml/anno) nel petrolchimico di Mantova dall’età di 31 anni e per circa 21 anni (senza lesioni pleuriche né asbestosi);
  • aveva fumato dall’età di 27 anni e per circa 25 anni.

Nel caso di specie, considerato che l’esposizione cumulativa all’amianto era inferiore a 25 fibre/anno, il rischio relativo di contrarre il tumore polmonare rispetto ad un soggetto non esposto era di poco inferiore a 2 (vale a dire, meno che raddoppiato); trattandosi di un fumatore medio da almeno 25 anni – con abitudine cessata in prossimità dell’insorgenza della malattia e, quindi, sostanzialmente irrilevante – il rischio relativo per il fumo era invece circa dieci volte maggiore.

La Cassazione dunque, non entrando in questioni di merito, riconosce tuttavia la logicità del percorso argomentativo seguito dal giudice del rinvio e di fatto concorda sull’affermazione che non era possibile affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, che la pur concorrente esposizione professionale ad amianto del [lavoratore] abbia avuto un effetto concausale.

Un punto importante che la Cassazione affronta è inoltre quello della presenza nel lavoratore deceduto di placche pleuriche, che per la parte civile avrebbero rappresentato un indicatore di pregressa ed elevata esposizione ad amianto.

La Cassazione tuttavia fa notare che, secondo i risultati della Consessus Conference di Helsinky per attribuire un tumore del polmone all’esposizione all’amianto con relativa certezza non è sufficiente la presenza di placche pleuriche, che potrebbero anche insorgere per una esposizione lieve, ma almeno di un diffuso ispessimento pleurico bilaterale che può originarsi da una esposizione simile a quella che causa l’asbestosi.

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Crediti immagine: foto di EKATERINA BOLOVTSOVA da Pexels. Modificata (ritagliata e ridimensionata). Concessa con licenza originaria.

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