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Vigile del fuoco deceduto di malattia professionale: non basta l’insalubrità dell’ambiente di lavoro per l’equiparazione a vittima del dovere

La Cassazione, con sentenza civile sezione lavoro n. 29819/2022, ha accolto il ricorso del Ministero dell’Interno contrario al riconoscimento dei benefici previsti per le vittime del dovere in favore dei familiari di un Vigile del Fuoco deceduto a causa di un carcinoma polmonare (assegno mensile e speciale elargizione).

La Corte di Appello di Genova, con sentenza n. 317/2019, aveva equiparato a vittima del dovere il vigile del fuoco, deceduto di carcinoma polmonare per causa di sevizio, condannando il Ministero dell’Interno a pagare al figlio ed alla moglie del lavoratore i benefici previsti.

La Corte, in particolare, aveva ritenuto che la patologia fosse stata contratta a causa delle particolari condizioni ambientali in cui il lavoratore svolgeva la propria attività, che lo esponeva al fumo passivo ed a vapori e fumi, che avrebbero ridotto le sue difese immunitarie.

Contro la sentenza ha presentato ricorso in Cassazione il Ministero con tre motivazioni:

  • mancata valutazione della CTU che aveva accertato l’esposizione a fumo passivo e vapori o fumi ma escluso l’esposizione rilevante ad amianto
  • assenza di nesso causale fra patologie riscontrate e servizio prestato
  • per avere la corte territoriale trascurato che per i benefici in questione occorre una peculiare esposizione diversa dalle condizioni ordinarie che rilevano per la causa di servizio (articolo 1, comma 564 della Legge n. 2005/06)

La Cassazione accoglie il ricorso: le motivazioni

La Corte di Cassazione, in sentenza, analizza in particolare il terzo motivo di ricorso del Ministero relativo alla valutazione dei requisiti giuridici richiesti dall’ordinamento per fruire dei benefici previsti in favore delle vittime del dovere.

In primo luogo la Corte ripercorre come la Corte territoriale avesse stabilito che il lavoratore non era stato esposto ad amianto in modo rilevante.

Tuttavia la Corte aveva accertato che l’esposizione a fumi di varia natura durante frequenti interventi in operazioni di soccorso, senza uso di aspiratori, nonché l’esposizione al fumo passivo di sigaretta, erano all’origine, in maniera altamente probabile, della patologia oncologica contratta a causa delle particolari e nocive condizioni ambientali ed operative in cui è stato costretto ad operare.

A tal proposito la Cassazione richiama l’art. art. 1, comma 563 della Legge 266/2005, che stabilisce che

sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 [le vittime del dovere] coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative.

Le particolari condizioni ambientali od operative per l’equiparazione a vittima del dovere

L’analisi della Suprema Corte si incentra dunque sull’interpretazione e l’individuazione di quali siano le particolari condizioni ambientali od operative che giustifichino l’equiparazione dei lavoratori colpiti da malattia professionale a vittime del dovere al di là dei normali rischi contemplati nell’ambito di un certo servizio, in questo caso, quello prestato dai Vigili del Fuoco.

La Corte, fra le varie pronunce in merito, richiama in particolare le Sezioni Unite, che hanno affermato

che, affinché possa ritenersi che una vittima del dovere abbia contratto una infermità in qualunque tipo di servizio non è sufficiente la semplice dipendenza da causa di servizio, occorrendo che quest’ultima sia legata a particolari condizioni ambientali o operative implicanti l’esistenza, od anche il sopravvenire, di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche [Sentenza n. 21969 del 21/09/2017].

Per la Cassazione dunque, per l’equiparazione a vittima del dovere, non basta la dimostrazione, come nel caso in oggetto, della causa di servizio nell’insorgenza della malattia; ma serve un quid pluris atto a giustificare tale equiparazione poiché le due categorie di lavoratori già beneficiano di tutele specifiche.

Per la Corte l’esposizione ad amianto avrebbe potuto costituire un fattore particolare per il riconoscimento di tale equiparazione. Tuttavia già la Corte territoriale aveva riconosciuto che tale esposizione non era stata rilevante nell’insorgenza del carcinoma polmonare del lavoratore.

Nella specie, la corte territoriale ha accertato che il de cuius era stato esposto all’amianto in misura largamente inferiore alle soglie di legge, sebbene fosse stato esposto ai fumi degli incendi che era chiamato a fronteggiare per ragioni di servizio ed al fumo passivo di sigarette in ambiente dei lavoro. Dunque […] l’esposizione alle sostanze nocive è avvenuto nel corso del normale espletamento dell’attività di vigile del fuoco, ove la riscontrata violazione della normativa generale in tema di salute del lavoratore, che nel caso non ricomprende neppure una specifica e rilevante esposizione all’amianto ma integra solo una occasionale insalubrità dell’ambiente di lavoro, non può integrare la particolarità delle condizioni lavorative rilevanti per il beneficio in questione.

La Cassazione dunque ha accolto il terzo motivo di ricorso del Ministero dell’Interno, che ha assorbito gli altri motivi, e rinviato la sentenza impugnata alla Corte d’Appello in diversa composizione per una nuova pronuncia.

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Crediti immagine: foto di Andrea Piacquadio da Pexels. Modificata (ritagliata e ridimensionata). Concessa in uso con licenza originaria.

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