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Ricorrerà in Cassazione la Procura Generale di Torino nel processo per le morti e malattie da amianto dei lavoratori degli stabilimenti dell’ex azienda di Ivrea.
Il ricorso arriva dopo il deposito delle motivazioni della sentenza emessa dalla Corte di Appello di Torino lo scorso 18 aprile che ha assolto gli imputati in secondo grado “perché il fatto non sussiste”.
La sentenza di condanna in primo grado del Tribunale di Ivrea
Nel 2016 invece, il processo di primo grado, presso il Tribunale di Ivrea, si era concluso con la condanna di alcuni vertici societari e dirigenti della Olivetti per presunte gravi omissioni e negligenza nell’adozione delle dovute tutele di sicurezza nei confronti dei lavoratori.
In particolare, secondo quando accertato dal Tribunale di Ivrea, l’amianto sarebbe stato presente, con un’alta percentuale di fibre:
- della varietà tremolite, nel talco utilizzato nel ciclo produttivo dell’assemblaggio di componenti in gomma (rulli, guaine) per macchine da scrivere, fotocopiatrici, calcolatori, telescriventi (per facilitare lo scorrimento delle componenti stesse);
- nei ceppi freno delle presse meccaniche per lo stampaggio a freddo, in lastre di ferobestos per il montaggio e la manutenzione di macchine utensili, in dispositivi di protezione individuale contenenti amianto, con riguardo all’attività svolta da lavoratori specifici;
- nelle strutture degli stabilimenti (rivestimenti, condutture, coperture in eternit).
La sentenza del Tribunale di Ivrea dunque, al contrario della sentenza di Appello, avrebbe rilevato il nesso causale fra esposizione all’asbesto, causata dalla condotto colposa degli imputati, e le malattie che hanno portato al decesso ed alle lesioni di oltre dieci ex lavoratori.
La Corte di Appello di Torino assolve tutti gli imputati per le morti e lesioni da amianto nel processo Olivetti
All’udienza del 18 aprile 2018 la Corte di Appello di Torino assolve tutti gli imputati dall’accusa di omicidio colposo e lesioni di undici ex lavoratori dell’azienda “perché il fatto non sussiste”.
Nelle motivazioni della sentenza, depositata il 12 ottobre 2018, i giudici ribattono punto per punto a quanto rilevato in primo grado per quanto riguarda sia il consenso della comunità scientifica del rapporto fra esposizione e malattia, sia l’effettiva presenza e pericolosità dell’amianto in Olivetti.
Sarebbero in particolare incerte e contraddittorie le testimonianze e la documentazione raccolta sulle modalità di impiego e l’effettivo rischio di dispersione di fibre per i lavoratori addetti all’utilizzo di macchinari e utensili: ceppi freno, lastre di ferobestos, dispositivi di protezione individuale.
Di più si sofferma la Corte in merito alla contaminazione ambientale degli edifici e al nesso causale fra esposizione e malattie da asbesto.
La presenza di amianto nelle strutture: fu vero pericolo, fu rischio doloso?
In merito alla presenza dell’amianto nelle strutture degli stabilimenti la Corte d’Appello sottolinea come
[…] la presenza dell’amianto nelle coibentazioni degli edifici, pur costituendo un “pericolo”, non consente di ritenere automaticamente concretizzato un fattore di “rischio” per i lavoratori.
Per la Corte tali esposizioni dunque non costituirebbero sicuramente un pericolo, poiché occasionali, e comunque non dimostrate essere superiori ai livelli di contaminazione comunemente accertati come rischiosi (cioè, per il Contarp, almeno pari a 0.1ff per centimetro cubo, come media ponderata su otto ore al giorno e 40 ore settimanali).
Va inoltre valutata, sempre secondo i giudici della Corte d’Appello, la prevedibilità / conoscibilità del rischio amianto all’epoca dei fatti.
Risulta infatti che misure di aero-dispersione delle fibre e mappatura dei manufatti in amianto furono avviati in Olivetti alla metà degli anni ’80; fatto che indicherebbe una consapevolezza / messa in atto di misure volte alla riduzione del rischio. In merito
[…] il Tribunale [di Ivrea] non pare aver tenuto conto della differenza sostanziale esistente fra addebiti inerenti l’utilizzo di amianto nell’attività industriale e contestazioni contemplanti l’efficacia causale di esposizioni che si assumono correlate alla semplice presenza di amianto nei rivestimenti e nelle coibentazioni di ambienti frequentati dai lavoratori (mense, uffici, cunicoli sotterranei) e che costituiscono una fonte di esposizione professionale sui generis e, quantomeno all’epoca dei fatti, nuova, trattandosi di categoria di rischio esulante dal ciclo produttivo […]
Il nesso causale fra esposizione all’amianto e malattia. La rilevanza penale.
Per quanto riguarda l’individuazione del nesso causale, la Corte rileva come non vi sia certezza nella comunità scientifica, e quindi oltre ogni ragionevole dubbio (come necessario per una condanna penale), del nesso causale fra singola esposizione nel tempo e insorgenza della malattia, nonché dell’esistenza del cosiddetto effetto acceleratore delle esposizioni successive all’avvenuta induzione della patologia.
In particolare, l’incertezza per quanto concerne il nesso causale, impedisce, a detta della Corte, una corretta definizione delle responsabilità individuali:
A parere di questa Corte, la valutazione “a 360 gradi” delle diverse posizioni scientifiche emerse […] non consente di attribuire, con tranquillante certezza, rilevanza causale ad eventuali esposizioni al fattore di rischio che possano essersi verificate nei periodi in contestazione […].
Difettando la prova “oltre ogni ragionevole dubbio” dei presupposti di fatto da cui desumere la sussistenza del nesso causale fra le condotte addebitate a titolo colpa agli imputati nei periodi di rispettivo interesse e l’evento oggetto delle imputazioni, manca il tassello fondamentale in base al quale poter effettuare un utile apprezzamento anche degli aspetti che, in ipotesi d’accusa, avrebbero dovuto connotare tali condotte sotto il profilo soggettivo.
Rassegna stampa e fonti
Notizia del ricorso in Cassazione da ilCanavese.it.
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Crediti: immagine di Matic Kozinc su Unsplash. Modificata. Immagine di repertorio.
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