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Ordinanza Corte di Cassazione n. 27572/2023: asbesto e tabagismo nelle neoplasia polmonare di un esposto amianto

Depositate le motivazioni dell’ordinanza n. 27572/2023 della Corte di Cassazione che ha esaminato un caso riguardante il decesso di un lavoratore fumatore a causa di una neoplasia polmonare, sviluppata durante il periodo lavorativo presso uno stabilimento siderurgico di Taranto, con esposizione a sostanze nocive quali l’amianto.

I fatti del caso

Il lavoratore, deceduto nel novembre 2013 durante il processo, aveva prestato servizio nello stabilimento siderurgico dal 1970 al 1995.

Bilancia simbolo di giustizia La Cassazione rinvia la sentenza di condanna alla Corte d’Appello di Lecce: da valutare nuovamente il nesso di causa fra esposizione ad amianto nello stabilimento siderurgico e casi di mesotelioma, carcinoma polmonare, tumore della vescica fra i lavoratori. Leggi di più.

Durante il suo impiego, era stato esposto a sostanze nocive, che includevano l’amianto ma anche al fumo di tabacco, poiché fumatore.

Gli eredi del lavoratore avevano presentato una causa per ottenere il risarcimento dei danni causati dalla malattia professionale che aveva condotto al decesso del loro congiunto.

Il Tribunale di primo grado aveva inizialmente riconosciuto un risarcimento di circa 175mila euro.

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Tuttavia, in appello, la Corte d’Appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto, in parziale riforma della sentenza, aveva aumentato il risarcimento riconosciuto agli eredi a oltre 450mila euro, accertando la responsabilità della datrice di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 c.c., nell’insorgenza della patologia tumorale che aveva portato al decesso del lavoratore.

Elementi chiave della decisione

  • Esposizione a sostanze nocive: la Corte d’Appello ha riconosciuto che il lavoratore aveva contratto la malattia a causa della lunga esposizione a sostanze nocive presenti nell’ambiente di lavoro, e ha confermato il nesso causale tra l’attività lavorativa e la patologia tumorale.
  • Concausa del tabagismo: il caso ha considerato anche la concausalità dell’abitudine al fumo del lavoratore stesso. Il consulente tecnico d’ufficio (CTU) aveva evidenziato che la malattia aveva un’origine multifattoriale, attribuendo al tabagismo un ruolo concausale nella misura del 50%. Tuttavia, la Corte ha chiarito che il fumo, pur essendo una concausa, non eliminava la responsabilità della datrice di lavoro per l’esposizione a sostanze nocive in fabbrica.
  • Principio di equivalenza delle condizioni: la Cassazione ha ribadito il principio di equivalenza delle condizioni sancito dall’art. 41 c.p., secondo il quale qualsiasi antecedente che abbia contribuito a determinare l’evento dannoso è da considerarsi rilevante, anche in presenza di cause concorrenti. Pertanto, il fatto che il lavoratore fosse fumatore non annulla la responsabilità della datrice di lavoro per non aver adottato misure di sicurezza adeguate:

    “Il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta efficienza causale a ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento” (Ordinanza n. 27572/2023).

  • Riduzione del risarcimento per concorso di colpa: la Corte ha accolto il quinto motivo di ricorso della datrice di lavoro, relativo alla mancata considerazione dell’efficienza causale del fumo attivo. La Cassazione ha riconosciuto che l’abitudine al fumo del lavoratore rappresenta un comportamento libero e volontario, che deve essere considerato nella quantificazione del danno, come previsto dall’art. 1227 c.c. Questo ha portato alla necessità di ridurre proporzionalmente il risarcimento in base alla percentuale di responsabilità del lavoratore per la propria malattia:

    “L’espressione ‘fatto colposo’ adoperata nell’art. 1227, comma 1, c.c., non va intesa come riferita all’elemento psicologico della colpa, ma deve intendersi come comportamento in contrasto con una regola di condotta, inclusa l’abitudine al fumo attivo” (Ordinanza n. 27572/2023).

Esito della sentenza

La Corte di Cassazione ha confermato la responsabilità della datrice di lavoro, ma ha cassato la sentenza della Corte d’Appello per quanto riguarda la quantificazione del risarcimento.

Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello di Bari, affinché venga ricalcolato l’ammontare del risarcimento, tenendo conto della riduzione dovuta al concorso di colpa del lavoratore.

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Crediti immagine: foto di Geri Tech, da Pexels. Modificata (ritagliata e ridimensionata). Concessa con licenza originaria.

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