La Cassazione, con Ordinanza Civile, Sezione Lavoro n. 871/2023, pubblicata in data 13 gennaio 2023, ha respinto il ricorso degli eredi di un ex lavoratore di Ansaldo Breda, deceduto di malattia polmonare.

La Corte d’Appello di Napoli, nel giugno 2019, aveva confermato la sentenza del tribunale della stessa sede attribuendo la morte del lavoratore della Ansaldo Breda a patologia extra lavorativa e non a mesotelioma pleurico di origine professionale, come ipotizzato dalla famiglia.
Il ricorso degli eredi del lavoratore deceduto a causa di una malattia polmonare
Avverso alla sentenza della Corte d’Appello di Napoli avevano presentato ricorso gli eredi proponendo cinque motivazioni:
- omessa pronuncia sui documenti medici presentati da cui sarebbe risultata la patologia polmonare;
- mancato rinnovo della consulenza tecnica ai fini dell’accertamento dell’origine professionale della patologia;
- omessa valutazione della relazione INAIL che certificava la nocività dell’ambiente che aveva causato il mesotelioma del lavoratore;
- assenza di motivazione quanto ai danni non patrimoniali subiti in vita dal lavoratore e non collegati alla morte;
- assenza di motivazione sul nesso causale tra attività lavorativa e patologia contratta.
La decisione di respingimento del ricorso e le argomentazioni della Cassazione
La Cassazione risponde alle motivazioni di ricorso esaminando congiuntamente i primi due ed i restanti tre motivi.
La Corte ritiene le prime due motivazioni inammissibili in quanto mirate ad una revisione del giudizio di legittimità quanto alla diagnosi della malattia relativamente alla quale non vi era stato riconoscimento di nesso causale con l’esposizione ad amianto.
Dalle risultanze della CTU era infatti emerso come non fosse un mesotelioma pleurico la causa della morte del lavoratore.
La sentenza impugnata si basa sull’affermazione, chiara ed argomentata, che la morte del lavoratore non è derivata da mesotelioma pleurico, di cui non sono state riscontrate evidenze istologiche, ma da altre “gravi patologie” dalle quali – “con certezza clinica, diagnostica e scientifica” – era affetto il lavoratore, che avevano operato come causa indipendente ed unica del decesso del lavoratore.
D’altro canto la Corte giudica inammissibili anche la terza, la quarta e la quinta motivazione del ricorso, queste analizzate in unicum poiché relative alla valutazione della nocività dell’ambiente di lavoro sulla persona del lavoratore quando questi era in vita
, e dunque volte a stabilire un nesso causale fra agenti cancerogeni e patologia mortale.
Gli avvocati dei familiari, in particolare, sottolineavano la presenza di una relazione INAIL sull’ambiente di lavoro dalla quale sarebbe risultata la presenza di amianto nelle lavorazioni ed alla quale sarebbe collegato l’avvenuto riconoscimento di rendita al lavoratore.
Tuttavia, continua la Corte, a tal proposito il ricorrente non ha provveduto all’onere di indicazione specifica delle circostanze e degli elementi per i quali si invoca il controllo del giudice di legittimità, adducendo censure di ordine generico.
Il ricorrente, infatti, avrebbe dovuto trascrivere nel ricorso i passaggi salienti e non condivisi della relazione ed esprimere eventuali e circostanziate critiche. Tale omissione ha impedito alla Corte di valutare la portata delle censure in ordine alla rilevanza della tecnopatia.
[…] il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è ravvisabile [solo] in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice.
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