Con Ordinanza n. 24375/2022, pubblicata in data 5 agosto 2022, la Cassazione ha accolto il ricorso dei familiari di un ex lavoratore della Sofer di Pozzuoli, ammalatosi di mesotelioma sarcomatoide a causa dell’esposizione all’amianto, ai fini del riconoscimento del danno differenziale.

Già la Corte d’Appello di Napoli, con sentenza n. 3446/2020, aveva respinto il ricorso, confermando la decisione del Tribunale di Napoli.
Il Tribunale di Napoli aveva deciso l’impossibilità di stabilire il nesso causale fra la malattia, insorta nel 2014 e riconosciuta invalidante da Inail all’80%, e l’attività dell’uomo, svolta nell’azienda dal 1967 al 1977 come operaio allestitore.
Secondo il giudice infatti non era possibile stabilire il nesso causale in considerazione
- della considerevole latenza fra attività lavorativa e insorgenza della malattia;
- per il fatto che il lavoratore aveva prestato servizio
in favore di altra società per la quale è stata svolta una bonifica ad opera di una ditta specializzata nella rimozione di amianto
.
Di conseguenza, il Tribunale di Napoli
ha giudicato inammissibile, perché esplorativa, la richiesta di consulenza medico legale, poiché non consentirebbe di raggiungere la prova dell’origine professionale della patologia e in particolare della sua riconducibilità all’esposizione ad amianto presso la società convenuta, con il necessario grado di probabilità qualificata.
Il ricorso dei familiari dell’allestitore della Sofer di Pozzuoli esposto ad amianto ed il giudizio della Cassazione
I familiari del lavoratore colpito da mesotelioma sono ricorsi in Cassazione avverso alla sentenza della Corte d’Appello adducendo due motivazioni.
Le motivazioni erano relative alla presunta illogicità e contraddittorietà della sentenza della Corte d’Appello nonché a considerazioni su errate valutazioni sulla latenza della malattia ed altri fattori esterni che avrebbero potuto causare o contribuire a causare la patologia.
La Cassazione ha accolto le motivazioni della famiglia rinviando la sentenza impugnata nuovamente alla Corte d’Appello in diversa composizione.
In particolare la Cassazione ha notato come illogico e contraddittorio il fatto che la sentenza d’appello [abbia] considerato pacifico il nesso causale – come riconosciuto dall’Inail – tra l’attività lavorativa e la malattia denunciata
[….] nello stesso tempo ritenendo precluso l’accertamento del nesso causale tra la malattia e il decesso dell’uomo a causa della lunga latenza e per il fatto che l’uomo avrebbe potuto essere stato esposto in occasione di una bonifica avvenuta in altro luogo di lavoro.
Di fatto dunque per la Cassazione la Corte d’Appello avrebbe omesso l’accertamento del nesso causale
- sulla base della considerazione del lungo lasso temporale intercorso fra esposizione e insorgenza della malattia (tuttavia riportando al contempo in sentenza la letteratura scientifica a dimostrazione della possibile lunghissima latenza);
- non considerando che
in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, [trova] applicazione la regola contenuta nell’art. 41 cod. pen., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l’efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, salvo che il nesso eziologico sia interrotto dalla sopravvenienza di un fattore sufficiente da solo a produrre l’evento, tale da far degradare le cause antecedenti a semplici occasioni.
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